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In Buona Compagnia - Il Ritrovo Degli Amici

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IL LIBRO DELLE FAVOLE,,,
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Marisa

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MessaggioInviato: Mar Gen 17, 21:12:58    Oggetto:  IL LIBRO DELLE FAVOLE,,,
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Cappuccetto Rosso


Fiaba dei fratelli Grimm -


C’era una volta una dolce bimbetta; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna che non sapeva più che cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e poiché‚ le donava tanto, ed ella non voleva portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre le disse: “Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Sii gentile, salutala per me, e va’ da brava senza uscire di strada, se no cadi, rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote.”

“Sì, farò tutto per bene,” promise Cappuccetto Rosso alla mamma, e le diede la mano. Ma la nonna abitava fuori, nel bosco, a una mezz’ora dal villaggio. Quando Cappuccetto Rosso giunse nel bosco, incontrò il lupo, ma non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura. “Buon giorno, Cappuccetto Rosso,” disse questo. “Grazie, lupo.” - “Dove vai così presto, Cappuccetto Rosso?” - “Dalla nonna.” - “Che cos’hai sotto il grembiule?” - “Vino e focaccia per la nonna debole e vecchia; ieri abbiamo cotto il pane, così la rinforzerà!” - “Dove abita la tua nonna, Cappuccetto Rosso?” - “A un buon quarto d’ora da qui, nel bosco, sotto le tre grosse querce; là c’è la sua casa, è sotto la macchia di noccioli, lo saprai già,” disse Cappuccetto Rosso. Il lupo pensò fra s’: Questa bimba tenerella è un buon boccone prelibato per te, devi far in modo di acchiapparla. Fece un pezzetto di strada con Cappuccetto Rosso, poi disse: “Guarda un po’ quanti bei fiori ci sono nel bosco, Cappuccetto Rosso; perché‚ non ti guardi attorno? Credo che tu non senta neppure come cantano dolcemente gli uccellini! Te ne stai tutta seria come se andassi a scuola, ed è così allegro nel bosco!”

Cappuccetto Rosso alzò gli occhi e quando vide i raggi del sole filtrare attraverso gli alberi, e tutto intorno pieno di bei fiori, pensò: Se porto alla nonna un mazzo di fiori, le farà piacere; è così presto che arrivo ancora in tempo. E corse nel bosco in cerca di fiori. E quando ne aveva colto uno, credeva che più in là ce ne fosse uno ancora più bello, correva lì e così si addentrava sempre più nel bosco. Il lupo invece andò dritto alla casa della nonna e bussò alla porta. “Chi è?” - “Cappuccetto Rosso, ti porto vino e focaccia; aprimi.” - “Non hai che da alzare il saliscendi,” gridò la nonna, “io sono troppo debole e non posso alzarmi.” Il lupo alzò il saliscendi, entrò, e senza dir motto andò dritto al letto della nonna e la inghiottì. Poi indossò i suoi vestiti e la cuffia, si coricò nel letto, e tirò le cortine.

Ma Cappuccetto Rosso aveva girato in cerca di fiori, e quando ne ebbe raccolti tanti che più non ne poteva portare, si ricordò della nonna e si mise in cammino per andare da lei. Quando giunse si meravigliò che la porta fosse spalancata, ed entrando nella stanza ebbe un’impressione così strana che pensò: “Oh, Dio mio, che paura oggi! e dire che di solito sto così volentieri con la nonna!” Allora si avvicinò al letto e scostò le cortine: la nonna era coricata con la cuffia abbassata sulla faccia, e aveva un aspetto strano. “Oh, nonna, che orecchie grandi!” - “Per sentirti meglio.” - “Oh, nonna, che occhi grossi!” - “Per vederti meglio.” - “Oh, nonna, che mani grandi!” - “Per afferrarti meglio.” - “Ma, nonna, che bocca spaventosa!” - “Per divorarti meglio!” E come ebbe detto queste parole, il lupo balzò dal letto e ingoiò la povera Cappuccetto Rosso.

Poi, con la pancia bella piena, si rimise a letto, s’addormentò e incominciò a russare sonoramente. Proprio allora passò lì davanti il cacciatore e pensò fra s’: “Come russa la vecchia! devi darle un’occhiata se ha bisogno di qualcosa.” Entrò nella stanza e avvicinandosi al letto vide il lupo che egli cercava da tempo. Stava per puntare lo schioppo quando gli venne in mente che forse il lupo aveva ingoiato la nonna e che poteva ancora salvarla. Così non sparò, ma prese un paio di forbici e aprì la pancia del lupo addormentato. Dopo due tagli vide brillare il cappuccetto rosso, e dopo altri due la bambina saltò fuori gridando: “Che paura ho avuto! Era così buio nella pancia del lupo!” Poi venne fuori anche la nonna ancora viva. E Cappuccetto Rosso andò prendere dei gran pietroni con cui riempirono il ventre del lupo; quando egli si svegliò fece per correr via, ma le pietre erano così pesanti che subito cadde a terra e morì.

Erano contenti tutti e tre: il cacciatore prese la pelle del lupo, la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che le aveva portato Cappuccetto Rosso; e Cappuccetto Rosso pensava fra s’: “Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te lo ha proibito.”


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MessaggioInviato: Mar Gen 17, 21:12:58    Oggetto: Adv






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Marisa

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MessaggioInviato: Mar Gen 17, 21:19:25    Oggetto:  
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Hänsel e Gretel


Fiaba dei fratelli Grimm -


Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che sfamarsi; riusciva a stento a procurare il pane per sua moglie e i suoi due bambini: Hänsel e Gretel. Infine giunse un tempo in cui non pot‚ più provvedere neanche a questo e non sapeva più a che santo votarsi. Una sera, mentre si voltava inquieto nel letto, la moglie gli disse: "Ascolta marito mio, domattina all'alba prendi i due bambini, dai a ciascuno un pezzetto di pane e conducili fuori in mezzo al bosco, nel punto dov'è più fitto; accendi loro un fuoco, poi vai via e li lasci soli laggiù. Non possiamo nutrirli più a lungo." - "No moglie mia" disse l'uomo "non ho cuore di abbandonare i miei cari bambini nel bosco, le bestie feroci li sbranerebbero subito." - "Se non lo fai," disse la donna, "moriremo tutti quanti di fame." E non lo lasciò in pace finché‚ egli non acconsentì.

Anche i due bambini non potevano dormire per la fame, e avevano sentito quello che la madre aveva detto al padre. Gretel pensò che per loro fosse finita e incominciò a piangere amaramente, ma Hänsel disse: "Stai zitta Gretel, non ti crucciare, ci penserò io." Si alzò, si mise la giacchettina, aprì l'uscio da basso e sgattaiolò fuori. La luna splendeva chiara e i ciottoli bianchi rilucevano come monete nuove di zecca. Hänsel si chinò, ne ficcò nella taschina della giacca quanti pot‚ farne entrare e se ne tornò a casa. "Consolati Gretel e riposa tranquilla," disse; si rimise di nuovo a letto e si addormentò.

Allo spuntar del giorno, ancor prima che sorgesse il sole, la madre venne e li svegliò entrambi: "Alzatevi bambini, vogliamo andare nel bosco; qui c'è un pezzetto di pane per ciascuno di voi, ma siate saggi e conservatelo per mezzogiorno." Gretel mise il pane sotto il grembiule perché‚ Hänsel aveva le pietre in tasca, poi si incamminarono verso il bosco. Quando ebbero fatto un pezzetto di strada: Hänsel si fermò e si volse a guardare la casa; così fece per più volte. Il padre disse: "Hänsel, che cos'è che ti volti a guardare e perché‚ ti fermi? Su, muoviti!" - "Ah, babbo, guardo il mio gattino bianco che è sul tetto e vuole dirmi addio." Disse la madre: "Ehi, sciocco, non è il tuo gattino, è il primo sole che brilla sul comignolo." Hänsel però non aveva guardato il gattino, ma aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca.

Quando giunsero in mezzo al bosco, il padre disse: "Ora raccogliete legna, bambini, voglio accendere un fuoco per non gelare." Hänsel e Gretel raccolsero rami secchi e ne fecero un mucchietto. Poi accesero il fuoco e quando la fiamma si levò alta, la madre disse: "Adesso stendetevi accanto al fuoco e dormite, noi andiamo a spaccare legna nel bosco; aspettate fino a quando non torniamo a prendervi."

Hänsel e Gretel rimasero accanto al fuoco fino a mezzogiorno, poi ciascuno mangiò il proprio pezzetto di pane. Credevano che il padre fosse ancora nel bosco perché‚ udivano i colpi d'accetta; invece era un ramo che egli aveva legato a un albero e che il vento sbattéva di qua e di là. Così attesero fino a sera, ma il padre e la madre non tornavano e nessuno veniva a prenderli. Quando fu notte fonda Gretel incominciò a piangere, ma Hänsel disse: "Aspetta soltanto un poco, finché‚ sorga la luna." E quando la luna sorse, prese Gretel per mano; i ciottoli brillavano come monete nuove di zecca e indicavano loro il cammino. Camminarono tutta la notte e quando fu mattina giunsero alla casa patema. Il padre si rallegrò di cuore quando vide i suoi bambini, poiché‚ gli era dispiaciuto doverli lasciare soli; la madre finse anch'essa di rallegrarsi, ma segretamente ne era furiosa.

Non passò molto tempo e il pane tornò a mancare in casa, e Hänsel e Gretel udirono una sera la madre che diceva al padre: "Una volta i bambini hanno ritrovato il cammino e io ho lasciato correre: ma adesso non c'è di nuovo più niente, rimane solo una mezza pagnotta in casa; devi condurli domani più addentro nel bosco, perché‚ non ritrovino la strada: per noi non c'è altro rimedio." L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò: "Sarebbe meglio se dividessi l'ultimo boccone con i tuoi bambini." Ma siccome aveva già ceduto una volta, non pot‚ dire di no.

Quando i bambini ebbero udito quel discorso, Hänsel si alzò per raccogliere di nuovo i ciottoli, ma quando giunse alla porta, la madre l'aveva chiusa. Tuttavia consolò Gretel e disse: "Dormi, cara Gretel, il buon Dio ci aiuterà."

Allo spuntar del giorno ebbero il loro pezzetto di pane, ancora più piccolo della volta precedente. Per strada Hänsel lo sbriciolò in tasca; si fermava sovente e gettava una briciola per terra. "Perché‚ ti fermi sempre, Hänsel, e ti guardi intorno?" disse il padre. "Cammina!" - "Ah! Guardo il mio piccioncino che è sul tetto e vuole dirmi addio." - "Sciocco," disse la madre, "non è il tuo piccione, è il primo sole che brilla sul comignolo." Ma Hänsel sbriciolò tutto il suo pane e gettò le briciole per via.

La madre li condusse ancora più addentro nel bosco, dove non erano mai stati in vita loro. Là dovevano di nuovo sedere accanto al fuoco e dormire e alla sera i genitori sarebbero venuti a prenderli. A mezzogiorno Gretel divise il proprio pane con Hänsel, che aveva sparso tutto il suo per via. Ma passò mezzogiorno e passò anche la sera senza che nessuno venisse dai poveri bambini. Hänsel consolò Gretel e disse: "Aspetta che sorga la luna: allora vedrò le briciole di pane che ho sparso; ci mostreranno la via di casa." La luna sorse, ma quando Hänsel cercò le briciole non le trovò: i mille e mille uccellini del bosco le avevano viste e le avevano beccate. Hänsel pensava di trovare ugualmente la via di casa e si portava dietro Gretel, ma ben presto si persero nel grande bosco; camminarono tutta la notte e tutto il giorno, poi si addormentarono per la gran stanchezza. Poi camminarono ancora tutta una giornata, ma non riuscirono a uscire dal bosco, e avevano tanta fame, perché‚ non avevano nient'altro da mangiare che un po' di bacche trovate per terra.

Il terzo giorno, quand'ebbero camminato fino a mezzogiorno, giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di focaccia, con le finestre di zucchero trasparente. "Ci siederemo qui e mangeremo a sazietà," disse Hänsel. "Io mangerò un pezzo di tetto; tu, Gretel, mangia un pezzo di finestra: è dolce." Quando Gretel incominciò a rosicchiare lo zucchero, una voce sottile gridò dall'interno:
"Chi mi mangia la casina
zuccherosa e sopraffina?"
I bambini risposero:
"E' il vento che piega ogni stelo,
il bel bambino venuto dal cielo."
E continuarono a mangiare. Gretel tirò fuori tutto un vetro rotondo e Hänsel staccò un enorme pezzo di focaccia dal tetto. Ma d'un tratto la porta della casa si aprì e una vecchia decrepita venne fuori piano piano. Hänsel e Gretel si spaventarono tanto che lasciarono cadere quello che avevano in mano. Ma la vecchia scosse il capo e disse: "Ah, cari bambini, come siete giunti fin qui? Venite dentro con me, siete i benvenuti." Prese entrambi per mano e li condusse nella sua casetta. Fu loro servita una buona cena, latte e frittelle, mele e noci; poi furono preparati due bei lettini bianchi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso.

Ma la vecchia era una strega cattiva che attendeva con impazienza l'arrivo dei bambini e, per attirarli, aveva costruito la casetta di pane. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava; e per lei quello era un giorno di festa. Era proprio felice che Hänsel e Gretel fossero capitati lì. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, ella si alzò, andò ai loro lettini, e quando li vide riposare così dolcemente, si rallegrò e mormorò fra sì: "Saranno un buon bocconcino per me!" Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo da ingrassare, e poteva fare solo pochi passi. Poi la vecchia svegliò Gretel con uno scossone e le gridò: "Alzati, poltrona, prendi dell'acqua e vai in cucina a preparare qualcosa di buono; tuo fratello è là nella stia e voglio ingrassarlo per poi mangiarmelo; tu devi dargli da mangiare." Gretel si spaventò e pianse, ma dovette fare quello che voleva la strega.

Ora ad Hänsel venivano cucinati ogni giorno i cibi più squisiti, poiché‚ doveva ingrassare; Gretel invece non riceveva altro che gusci di gambero. Ogni giorno la vecchia veniva e diceva: "Hänsel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso." Ma Hänsel le sporgeva sempre un ossicino ed ella si meravigliava che non volesse proprio ingrassare. Dopo quattro settimane, una sera disse a Gretel: "Vai a prendere dell'acqua, svelta; grasso o magro che sia, domani ammazzerò il tuo fratellino e lo cucinerò; nel frattempo mi metterò a impastare il pane da cuocere nel forno." Con il cuore grosso, Gretel portò l'acqua nella quale doveva essere cucinato Hänsel. Dovette poi alzarsi di buon mattino, accendere il fuoco e appendere il paiolo pieno d'acqua. "Ora fa' attenzione," disse la strega. "Accendo il fuoco nel forno per cuocere il pane." Gretel era in cucina e piangeva a calde lacrime mentre pensava: "Ci avessero divorato le bestie feroci nel bosco! Almeno saremmo morti insieme senza dover sopportare questa pena, e io non dovrei far bollire l'acqua che deve servire per la morte di mio fratello. Buon Dio, aiuta noi, miseri bambini!"

La vecchia gridò: "Gretel, vieni subito qui al forno!" e quando Gretel arrivò, disse: "Dai un'occhiata dentro se il pane è ben cotto e dorato; i miei occhi sono deboli e io non arrivo a vedere fin là. E se anche tu non ci riesci, siediti sull'asse: ti spingerò dentro, così potrai controllare meglio." Ma la perfida strega aveva chiamato Gretel perché‚ pensava, una volta spintala dentro al forno, di chiuderlo e di farla arrostire per mangiarsi pure lei. Ma Dio ispirò alla fanciulla un'idea, ed ella disse: "Non so proprio come fare, fammi vedere tu per prima: siediti sull'asse e io ti spingerò dentro." La vecchia si sedette e, siccome era leggera, Gretel pot‚ spingerla dentro, il più in fondo possibile; poi chiuse in fretta la porta e mise il paletto di ferro. Allora la vecchia incominciò a gridare e a lamentarsi nel forno bollente, ma Gretel scappò via, ed ella dovette bruciare miseramente.

Gretel corse da Hänsel, gli aprì la porticina e gridò: "Salta fuori, Hänsel, siamo liberi!" Allora Hänsel saltò fuori, come un uccello quando gli aprono la gabbia. Ed essi piansero di gioia e si baciarono. Tutta la casetta era piena di perle e di pietre preziose: essi se ne riempirono le tasche e se ne andarono in cerca della via che li riconducesse a casa. Ma giunsero a un gran fiume che non erano in grado di attraversare. Allora la sorellina vide un'anatrina bianca nuotare di qua e di là.

E le gridò:
"Ah,
cara anatrina,
prendici
sul tuo dorso."
Udite queste parole, l'anatrina si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel dall'altra parte del fiume. Dopo breve tempo ritrovarono la loro casa: il padre si rallegrò di cuore quando li rivide, poiché‚ non aveva più avuto un giorno di felicità da quando i suoi bambini non c'erano più. La madre invece era morta. Ora i bambini portarono ricchezze a sufficienza perché‚ non avessero più bisogno di procurarsi il necessario per vivere..



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Fulvio

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MessaggioInviato: Mer Gen 18, 01:27:42    Oggetto:  
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BELLO..................
mi piace, Marisa
mi son sempre piaciute le favole!

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Oh Grande Spirito, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare e la saggezza di capirne la differenza
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Marisa

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MessaggioInviato: Mer Gen 18, 16:32:27    Oggetto:  
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vestiti nuovi dell'imperatore


Fiaba di Hans Christian Andersen -


Molti anni fa viveva un imperatore che amava tanto avere sempre bellissimi vestiti nuovi da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente. Non si curava dei suoi soldati né di andare a teatro o di passeggiare nel bosco, se non per sfoggiare i vestiti nuovi. Possedeva un vestito per ogni ora del giorno e come di solito si dice che un re è al consiglio, così di lui si diceva sempre: «E nello spogliatoio!».

Nella grande città in cui abitava ci si divertiva molto; ogni giorno giungevano molti stranieri e una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all'altezza della loro carica e a quelli molto stupidi.

"Sono proprio dei bei vestiti!" pensò l'imperatore. "Con questi potrei scoprire chi nel mio regno non è all'altezza dell'incarico che ha, e riconoscere gli stupidi dagli intelligenti. Sì, questa stoffa dev'essere immediatamente tessuta per me!" e diede ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare.

Questi montarono due telai e fecero fìnta di lavorare, ma non avevano proprio nulla sul telaio. Senza scrupoli chiesero la seta più bella e l'oro più prezioso, ne riempirono le borse e lavorarono con i telai vuoti fino a notte tarda.

"Mi piacerebbe sapere come proseguono i lavori per la stoffa" pensò l'imperatore, ma in verità si sentiva un po' agitato al pensiero che gli stupidi o chi non era adatto al suo incarico non potessero vedere la stoffa. Naturalmente non temeva per se stesso; tuttavia preferì mandare prima un altro a vedere come le cose proseguivano. Tutti in città sapevano che straordinario potere avesse quella stoffa e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino.

"Manderò il mio vecchio bravo ministro dai tessitori" pensò l'imperatore "lui potrà certo vedere meglio degli altri come sta venendo la stoffa, dato che ha buon senso e non c'è nessuno migliore di lui nel fare il suo lavoro."
Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffatori stavano lavorando con i due telai vuoti. "Dio mi protegga!" pensò, e spalancò gli occhi "non riesco a vedere niente!" Ma non lo disse.

Entrambi i truffatori lo pregarono di avvicinarsi di più e chiesero se i colori e il disegno non erano belli. Intanto indicavano i telai vuoti e il povero ministro continuò a sgranare gli occhi, ma non potè dir nulla, perché non c'era nulla. "Signore!" pensò "forse sono stupido? Non l'ho mai pensato ma non si sa mai. Forse non sono adatto al mio incarico? Non posso raccontare che non riesco a vedere la stoffa!"

«Ebbene, lei non dice nulla!» esclamò uno dei tessitori.

«È splendida! Bellissima!» disse il vecchio ministro guardando attraverso gli occhiali. «Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all'imperatore che mi piacciono moltissimo!»

«Ne siamo molto felici!» dissero i due tessitori, e cominciarono a nominare i vari colori e lo splendido disegno. Il vecchio ministro ascoltò attentamente per poter dire lo stesso una volta tornato dall'imperatore, e così infatti fece.
Gli imbroglioni richiesero altri soldi, seta e oro, necessari per tessere. Ma si misero tutto in tasca; sul telaio non giunse mai nulla, e loro continuarono a tessere sui telai vuoti.

L'imperatore inviò poco dopo un altro onesto funzionario per vedere come proseguivano i lavori, e quanto mancava prima che il tessuto fosse pronto. A lui successe quello che era capitato al ministro; guardò con attenzione, ma non c'era nulla da vedere se non i telai vuoti, e difatti non vide nulla.
«Non è una bella stoffa?» chiesero i due truffatori, spiegando e mostrando il bel disegno che non c'era affatto.

"Stupido non sono" pensò il funzionario "è dunque la carica che ho che non è adatta a me? Mi sembra strano! Comunque nessuno deve accorgersene!" e così lodò la stoffa che non vedeva e li rassicurò sulla gioia che i colori e il magnifico disegno gli procuravano. «Sì, è proprio magnifica» riferì poi all'imperatore.
Tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa.

L'imperatore volle vederla personalmente mentre ancora era sul telaio. Con un gruppo di uomini scelti, tra cui anche i due funzionari che già erano stati a vederla, si recò dai furbi truffatori che stavano tessendo con grande impegno, ma senza filo.

«Non èmagnifique?» esclamarono i due bravi funzionari. «Sua Maestà guardi che disegno, che colori!» e indicarono il telaio vuoto, pensando che gli altri potessero vedere la stoffa.
"Come sarebbe!" pensò l'imperatore. "Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore? È la cosa più terribile che mi possa capitare". «Oh, è bellissima!» esclamò «ha la mia piena approvazione!» e ammirava, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto; non voleva dire che non ci vedeva niente. Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e non scoprì nulla di più; tutti dissero ugualmente all'imperatore: «È bellissima» e gli consigliarono di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo per la prima volta al corteo che doveva avvenire tra breve. «Emagnifìque , bellissima,excellente » esclamarono l'uno con l'altro, e si rallegrarono molto delle loro parole. L'imperatore consegnò ai truffatori la Croce di Cavaliere da appendere all'occhiello, e il titolo di Nobili Tessitori.
Tutta la notte che precedette il corteo i truffatori restarono alzati con sedici candele accese. Così la gente poteva vedere che avevano da fare per preparare il nuovo vestito dell'imperatore. Finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l'aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono: «Ora il vestito è pronto.»

Giunse l'imperatore in persona con i suoi illustri cavalieri, e i due imbroglioni sollevarono un braccio come se tenessero qualcosa e dissero: «Questi sono i calzoni; e poi la giacca - e infine il mantello!» e così via. «La stoffa è leggera come una tela di ragno! si potrebbe quasi credere di non aver niente addosso, ma e proprio questo il suo pregio!».
«Sì» confermarono tutti i cavalieri, anche se non potevano vedere nulla, dato che non c'era nulla.

«Vuole Sua Maestà Imperiale degnarsi ora di spogliarsi?» dissero i truffatori «così le metteremo i nuovi abiti proprio qui davanti allo specchio.» L'imperatore si svestì e i truffatori fìnsero di porgergli le varie parti del nuovo vestito, che stavano terminando di cucire; lo presero per la vita come se gli dovessero legare qualcosa ben stretto, era lo strascico, e l'imperatore si rigirava davanti allo specchio.

«Come le sta bene! come le dona!» dissero tutti. «Che disegno! che colori! È un abito preziosissimo!»

«Qui fuori sono arrivati i portatori del baldacchino che dovrà essere tenuto sopra Sua Maestà durante il corteo!» annunciò il Gran Maestro del Cerimoniale.
«Sì, anch'io sono pronto» rispose l'imperatore. «Mi sta proprio bene, vero?» E si rigirò ancora una volta davanti allo specchio, come se contemplasse la sua tenuta.

I ciambellani che dovevano reggere lo strascico finsero di afferrarlo da terra e si avviarono tenendo l'aria, dato che non potevano far capire che non vedevano niente.

E così l'imperatore aprì il corteo sotto il bel baldacchino e la gente che era per strada o alla finestra diceva: «Che meraviglia i nuovi vestiti dell'imperatore! Che splendido strascico porta! Come gli stanno bene!». Nessuno voleva far capire che non vedeva niente, perché altrimenti avrebbe dimostrato di essere stupido o di non essere all'altezza del suo incarico. Nessuno dei vestiti dell'imperatore aveva mai avuto una tale successo.
«Ma non ha niente addosso!» disse un bambino. «Signore sentite la voce dell'innocenza!» replicò il padre, e ognuno sussurrava all'altro quel che il bambino aveva detto.

«Non ha niente addosso! C'è un bambino che dice che non ha niente addosso!»
«Non ha proprio niente addosso!» gridava alla fine tutta la gente. E l'imperatore, rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: "Ormai devo restare fino alla fine". E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c'era.


FINE

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MessaggioInviato: Mer Gen 18, 16:34:46    Oggetto:  
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tenace soldatino di stagno


Fiaba di Hans Christian Andersen -


C'erano una volta venticinque soldati di stagno, tutti fratelli tra loro perché erano nati da un vecchio cucchiaio di stagno. Tenevano il fucile in mano, e lo sguardo fisso in avanti, nella bella uniforme rossa e blu. La prima cosa che sentirono in questo mondo, quando il coperchio della scatola in cui erano venne sollevata, fu l'esclamazione: «Soldatini di stagno!» gridata da un bambino che batteva le mani; li aveva ricevuti perché era il suo compleanno, e li allineò sul tavolo.
I soldatini si assomigliavano in ogni particolare, solo l'ultimo era un po' diverso: aveva una gamba sola perché era stato fuso per ultimo e non c'era stato stagno a sufficienza! Comunque stava ben dritto sulla sua unica gamba come gli altri sulle loro due gambe e proprio lui ebbe una strana sorte.
Sul tavolo dove erano stati appoggiati c'erano molti altri giocattoli, ma quello che più attirava l'attenzione era un grazioso castello di carta. Attraverso le finestrelle si poteva vedere nelle sale. All'esterno si trovavano molti alberelli intorno a uno specchietto che doveva essere un lago; vi nuotavano sopra e vi si rispecchiavano cigni di cera. Tutto era molto grazioso, ma la cosa più carina era una fanciulla, in piedi sulla porta aperta del castello; anche lei era fatta di carta, ma aveva la gonna di lino finissimo e un piccolo nastro azzurro drappeggiato sulle spalle con al centro un lustrino splendente, grande come il suo viso. La fanciulla aveva entrambe le mani tese in alto, perché era una ballerina, e aveva una gamba sollevata così in alto che il soldatino di stagno, non vedendola, credette che anch'ella avesse una gamba sola, proprio come lui. "Quella sarebbe la sposa per me!" pensò "ma è molto elegante e abita in un castello; io invece ho solo una scatola e ci abitiamo in venticinque, non è certo un posto per lei! comunque devo cercare di fare conoscenza!" Si stese lungo com'era dietro una tabacchiera che si trovava sul tavolo; da lì poteva vedere bene la graziosa fanciulla che continuava a stare su una gamba sola, senza perdere l'equilibrio.
A sera inoltrata gli altri soldatini di stagno entrarono nella scatola e gli abitanti della casa andarono a letto. Allora i giocattoli cominciarono a divertirsi: si scambiavano visite ballavano, giocavano alla guerra. I soldatini di stagno rumoreggiavano nella scatola, perché desideravano partecipare ai divertimenti, ma non riuscirono a togliere il coperchio. Lo schiaccianoci faceva le capriole e il gesso si divertiva sulla lavagna, facevano un tale rumore che il canarino si svegliò e cominciò a parlare in versi.
Gli unici che non si mossero affatto furono il soldatino di stagno e la piccola ballerina; lei si teneva ritta sulla punta del piede con le due braccia alzate, lui con pari tenacia restava dritto sulla sua unica gamba e gli occhi non si spostavano un solo momento da lei.
Suonò mezzanotte e tac... si sollevò il coperchio della tabacchiera, ma dentro non c'era tabacco, bensì un piccolissimo troll nero, perché era una scatola a sorpresa.
«Soldato!» disse il troll «smettila di guardare gli altri!»
Ma il soldatino fìnse di non sentire.
«Aspetta domani e vedrai!» gli disse il troll.
Quando l'indomani i bambini si alzarono, il soldatino fu messo vicino alla finestra e, non so se fu il troll o una folata di vento, la finestra si aprì e il soldatino cadde a testa in giù dal terzo piano. Fu un volo terribile, a gambe all'aria, poi cadde sul berretto infilando la baionetta tra le pietre.
La domestica e il ragazzino scesero subito a cercarlo, ma sebbene stessero per calpestarlo, non riuscirono a vederlo. Se il soldatino avesse gridato: "Sono qui!" lo avrebbero certamente trovato, ma lui pensò che non fosse bene gridare a voce alta perché era in uniforme. Cominciò a piovere, le gocce cadevano sempre più fitte e venne un bell'acquazzone: quando finalmente smise di piovere arrivarono due monelli.
«Guarda!» disse uno «c'è un soldatino di stagno! adesso lo facciamo andare in barca.»
Fecero una barchetta con un giornale, vi misero dentro ii soldatino e lo fecero navigare lungo un rigagnolo; gli correvano dietro battendo le mani. Dio ci salvi! che ondate c'erano nel rigagnolo, e che corrente! Tutto a causa dell'acquazzone. La barchetta andava su e giù e ogni tanto girava su se stessa così velocemente che il soldatino tremava tutto, ma ciò nonostante, tenace com'era, non batté ciglio, guardò sempre davanti a sé e tenne il fucile sotto il braccio.
Improvvisamente la barchetta si infilò in un passaggio sotterraneo della fogna; era così buio che al soldatino sembrava d'essere nella sua scatola.
"Dove sto andando?" pensò. "Sì, tutta colpa del troll! Ah, se solo la fanciulla fosse qui sulla barca con me, allora non mi importerebbe che fosse anche più buio."
In quel mentre sbucò fuori un grosso ratto, che abitava nella fogna.
«Hai il passaporto?» chiese. «Tira fuori il passaporto!» Ma il soldatino restò zitto e tenne il fucile ancora più stretto. La barchetta passò oltre e il ratto si mise a seguirla. Hu! come digrignava i denti e gridava alle pagliuzze e ai trucioli: «Fermatelo! Fermatelo! non ha pagato la dogana! non ha mostrato il passaporto!».
Ma la corrente si fece sempre più forte e il soldatino scorgeva già la luce del giorno alla fine della fogna, quando sentì un rumore terribile, che faceva paura anche a un uomo coraggioso; pensate, il rigagnolo finiva in un grande canale, e per il soldatino era pericoloso come per noi capitare su una grande cascata.
Ormai era così vicino che gli era impossibile fermarsi. Si irrigidì più che potè, perché nessuno potesse dire che aveva avuto paura. La barchetta girò su se stessa tre, quattro volte e ormai era piena di acqua fino all'orlo e stava per affondare. Il soldatino sentiva l'acqua arrivargli alla gola, e la barchetta affondava sempre più; la carta intanto si disfaceva. L'acqua gli coprì anche la testa -allora pensò alla graziosa ballerina che non avrebbe rivisto mai più, e si sentì risuonare nelle orecchie:
Addio, bel soldatino morir dovrai anche tu
La carta si disfece del tutto e il soldatino di stagno andò a fondo, ma subito venne inghiottito da un grosso pesce.
Oh, com'era buio là dentro! ancora più buio che nella fogna, e poi era così stretto; ma il soldatino era tenace e restò lì disteso col fucile in spalla.
Il pesce si agitava in modo terribile, poi si calmò e fu come se un lampo lo attraversasse. La luce ormai splendeva e qualcuno gridò: «Il soldatino di stagno!». Il pesce era stato pescato, portato al mercato, venduto e portato in cucina dove una ragazza lo aveva tagliato con un grosso coltello. Prese con due dita il soldatino e lo portò in salotto dove tutti volevano vedere quell'uomo straordinario che aveva viaggiato nella pancia di un pesce; ma lui non si insuperbì. Lo misero sul tavolo e... oh, che stranezze succedono nel mondo! il soldatino si trovò nella stessa sala in cui era stato prima, vide gli stessi bambini e i giocattoli che erano sul tavolo, il bel castello di carta con la graziosa ballerina, che ancora stava ritta su un piede solo e teneva l'altro sollevato; anche lei era tenace e questo commosse il soldatino che stava per piangere lacrime di stagno, ma questo non gli si addiceva. La guardò, e lei guardò lui, ma non dissero una sola parola.
In quel mentre uno dei bambini più piccoli prese il soldatino e lo gettò nella stufa, e proprio senza alcun motivo, sicuramente era colpa del troll della tabacchiera.
Il soldatino vide una gran luce e sentì un gran calore, era insopportabile, ma lui non sapeva se era proprio la fiamma del fuoco o quella dell'amore. I suoi colori erano ormai sbiaditi, ma chi poteva dire se fosse per il viaggio o per la pena d'amore? Il soldatino guardò la fanciulla e lei guardò lui, e lui si sentì sciogliere, ma ancora teneva ben stretto il fucile sulla spalla. Intanto una porta si spalancò e il vento afferrò la ballerina che volò come una silfide proprio nella stufa vicino al soldatino. Sparì con una sola fiammata, e anche il soldatino si sciolse completamente. Quando il giorno dopo la domestica tolse la cenere, del soldatino trovò solo il cuoricino di stagno, della ballerina il lustrino tutto bruciacchiato e annerito.


FINE

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MessaggioInviato: Mer Gen 18, 16:37:28    Oggetto:  
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Il guardiano dei porci


Fiaba di Hans Christian Andersen -


C'era una volta un principe povero, che aveva un regno molto piccolo, ma grande abbastanza per potersi sposare; e sposarsi era proprio quello che desiderava.
Certo ci voleva un bel coraggio a chiedere alla figlia dell'imperatore "Mi vuoi sposare?", ma egli osò ugualmente, perché il suo nome era conosciuto dappertutto e c'erano centinaia di principesse che avrebbero accettato volentieri; ma vediamo cosa fece quella principessa.
Sulla tomba del padre del principe cresceva una pianta di rose, e che meraviglia era! Fioriva solo ogni cinque anni e faceva una sola rosa, ma era una rosa con un profumo così dolce che, annusandolo, si dimenticavano tutti i dolori e le preoccupazioni. Il principe aveva anche un usignolo, e cantava così bene che sembrava lui solo conoscesse le melodie più belle. La principessa doveva ricevere in dono sia la rosa che l'usignolo: il principe li mise in due grandi astucci d'argento e glieli mandò.
L'imperatore li fece portare nella grande sala dove la principessa stava giocando, come sempre, alle "signore" con le sue dame di corte, e quando vide i due astucci con i regali batté la mani di gioia.
«Speriamo che sia un micino! » disse, ma trovò invece la bella rosa.
«Uh! come è fatta bene!» esclamarono insieme le dame di corte.
«È più che ben fatta!» aggiunse l'imperatore «è bella!»
Ma la principessa la toccò e si mise quasi a piangere.
«Peccato papà» disse la fanciulla «non è fìnta, è vera!»
«Peccato» ripeterono le cortigiane «è vera!»
«Guardiamo cosa c'è nell'altro astuccio, prima di inquietarci!» disse l'imperatore, e così comparve l'usignolo, e cantò così bene che non fu possibile dire nulla di male di lui.
«Superbe, charmant!» commentarono le cortigiane, che parlavano francese tra loro, ma una peggio dell'altra.
«Come mi ricorda il carillon della defunta imperatrice!» disse un vecchio cavaliere. «Si, è proprio la stessa tonalità, la stessa espressione.»
«Sì» esclamò l'imperatore, e si mise a piangere come un bambino.
«Non posso credere che sia vero!» disse la principessa.
«Sì, è un uccello vero!» risposero coloro che lo avevano portato.
«Ah, allora lasciatelo volare» disse la principessa, e non permise assolutamente che il principe entrasse.
Ma lui non si perse d'animo; si dipinse il viso di nero, si mise in testa un cappello e bussò alla reggia. «Buon giorno, imperatore» disse «potrei mettermi al vostro servizio qui al castello?»
«Uh, sono tanti quelli che cercano lavoro!» rispose l'imperatore. «Ma fammi pensare: ho bisogno di uno che curi i maiali. Di maiali ne abbiamo tanti!»
E così il principe venne assunto come guardiano reale dei porci.
Gli diedero una brutta e piccola stanza vicino al recinto dei porci e lì dovette rimanere. Per tutto il giorno lavorò e quando venne la sera, aveva già finito un pentolino molto carino che aveva tutt'intorno dei campanelli, che, non appena il pentolino bolliva, suonavano in modo delizioso quella vecchia melodia:
Ach, Du lieber Augustin, Alles ist weg, weg, weg!
Ma la cosa più curiosa accadeva quando si metteva un dito nel vapore del pentolino; allora si poteva annusare il cibo che era stato cotto su ogni fornello della città; questo era ben altro che una rosa!
Passò di lì la principessa con le sue dame, e quando sentì la melodia, si fermò e si rallegrò; infatti sapeva suonare anche leiAch, Du lieber Augustin , anzi era l'unica cosa che sapesse suonare, e con un dito solo! «È quello che so anch'io» esclamò «dev'essere un guardiano di porci istruito. Presto, va' a chiedergli quanto costa quello strumento.» E così una delle dame dovette entrare nel porcile, ma si mise gli zoccoli ai piedi.
«Quanto vuoi per quel pentolino?» chiese la dama.
«Voglio dieci baci della principessa!» rispose il guardiano dei porci.
«Dio ci protegga!» esclamò la dama.
«Sì, non lo vendo per meno» aggiunse il guardiano dei porci.
«Allora, che cosa dice?» chiese la principessa.
«Non oso dirlo» rispose la dama «è troppo orribile!»
«Allora dimmelo in un orecchio.» E lei così fece.
«Che cattivo!» disse la principessa, e subito se ne andò, ma aveva fatto solo un pezzo di strada, e i campanelli ricominciarono a suonare soavemente:
Ach, Du lieber Augustin Alles ist weg, weg weg!
«Senti» disse la principessa «chiedigli se non vuole invece dieci baci dalle mie dame.»
«No, grazie!» rispose il guardiano dei porci «dieci baci della principessa, altrimenti mi tengo la pentola.»
«Che noia!» sbuffò la principessa «ma allora voi dovete mettervi davanti, affinché nessuno mi possa vedere!»
E le dame se misero davanti a lei, e allargarono le vesti, così il guardiano ebbe i dieci baci e lei ottenne la pentola.
Che divertimento! giorno e notte la pentola doveva bollire: non c'era un solo fornello in tutta la città di cui non si sapesse che cosa vi si cuoceva, sia presso il ciambellano che presso il calzolaio. Le dame ballavano e battevano le mani.
«Sappiamo chi mangerà la zuppa e chi le frittelle, chi avrà la farinata e chi le braciole! com'è interessante!»
«Proprio interessante!» disse l'intendente economa.
«Sì, ma non dirlo a nessuno. Io sono la figlia dell'imperatore!»
«Il Signore ci salvi!» esclamarono tutte.
Il guardiano dei porci, o meglio il principe anche se tutti lo credevano un vero guardiano di porci, non passò il tempo senza concludere niente, ma fece una raganella, quando la si faceva ruotare, ne uscivano tutti i valzer, le polche e i balli che erano stati suonati dalla creazione del mondo.
«Ma èsuperbe » esclamò la principessa quando passò di lì «non ho mai sentito una composizione più bella! Sentite, andate a chiedergli quanto costa quello strumento; ma badate, io non bacio più!»
«Vuole cento baci dalla principessa!» disse la dama che era entrata a chiedere.
«Sono certa che sia matto!» esclamò la principessa, e se ne andò: ma dopo qualche passo si fermò e: «L'arte va incoraggiata!» disse «io sono la figlia dell'imperatore! Ditegli che riceverà dieci baci come ieri. Il resto lo avrà dalle mie dame».
«Sì, ma a noi non va l'idea!» esclamarono le dame di corte.
«Quante storie!» disse la principessa. «Se posso baciarlo io, allora lo potete fare anche voi! Ricordatevi che io vi pago e vi mantengo» e così la dama dovette tornare da lui.
«Cento baci dalla principessa! » ripetè lui «altrimenti ognuno si tiene il suo.»
«Mettetevi davanti!» gridò lei, e subito le dame le si misero davanti e i due si baciarono.
«Che cosa ci fa tutta quella folla vicino al recinto dei maiali?» si chiese l'imperatore che era uscito sul balcone; si stropicciò gli occhi e si mise gli occhiali. «Ma sono le dame che stanno combinando qualcosa. È meglio che vada giù a vedere!» e così si infilò bene le ciabatte, che veramente una volta erano state le sue scarpe.
Accidenti, come si affrettò!
Giunto nel cortile si avvicinò molto lentamente, e le dame non si accorsero di lui, perché erano troppo occupate a contare i baci: tutto doveva svolgersi onestamente e il guardiano non doveva avere più baci di quelli previsti, ma neppure di meno.
L'imperatore si alzò sulla punta dei piedi.
«Che succede?» gridò quando vide che si stavano baciando e li colpì in testa con la ciabatta, proprio mentre il guardiano stava ricevendo il suo ottantaseiesimo bacio. «Fuori di qui!» gridò l'imperatore, perché era molto arrabbiato, e così sia la principessa che il guardiano dei porci furono cacciati dall'impero.
Lei si mise a piangere, mentre il guardiano dei porci la rimproverava. Intanto cominciò a piovere.
«Ah, povera me!» si lamentava la principessa «se avessi accettato quel bel principe! ah, come sono infelice!»
Il guardiano dei porci si nascose dietro un albero, si tolse il nero del viso, gettò via quei poveri stracci e ricomparve nel suo abito regale, che era così bello che la principessa si inchinò.
«Adesso ti disprezzo!» le disse il principe. «Non hai voluto un principe, non hai saputo apprezzare né la rosa né l'usignolo, ma per un gingillo qualsiasi hai baciato il guardiano dei porci. Ti sta proprio bene!»
E così dicendo rientrò nel suo regno e chiuse la porta col catenaccio; e a lei non restò altro da fare che star seduta là fuori e cantare:
Ach, Du lieber Augustin, Alles ist weg, weg, weg!


FINE



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MessaggioInviato: Ven Feb 10, 00:31:23    Oggetto:  
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La principessa sul pisello





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C’era una volta un principe che voleva sposare una principessa, ma doveva trattarsi di una principessa vera! Perciò si mise a viaggiare in lungo e in largo per il mondo, ma ogni volta non riusciva a decidersi: principesse ce n’erano un po’ dappertutto, ma erano principesse vere? Non si riusciva mai a saperlo con sicurezza: ogni volta sembrava mancare qualche cosa. Alla fine decise di tornare a casa sua, ma era pieno di tristezza per non essere riuscito a trovare una principessa vera.

Una notte che c’era un tempo orribile, con fulmini, tuoni, e acqua a catinelle, qualcuno bussò alle porte della città, e il vecchio re andò ad aprire.

Fuori dalle mura c’era una principessa: Dio mio, la pioggia e il brutto tempo l’avevano conciata proprio bene! L’acqua le picchiava sui capelli e sui vestiti, entrava nelle scarpe dalle punte e ne usciva dai tacchi: eppure lei sosteneva di essere una vera principessa.

“Questo si vedrà,” pensò la vecchia regina, ma non disse nulla: andò in camera, tolse il materasso dal letto e mise sul fondo un pisello; poi prese venti materassi e li mise sul pisello, e sopra i materassi mise ancora venti grossi cuscini di piume.

Quella sera la principessa dormì lì.

La mattina dopo le chiesero come aveva dormito.

“Malissimo!” si lamentò la fanciulla, “non ho praticamente chiuso occhio per tutta la notte! Chissà cosa c’era in quel letto! Ero coricata su qualcosa di duro e mi sono fatta un enorme livido blu e marrone. È stato terribile!”

Così capirono che era una principessa vera, perché aveva sentito il pisello attraverso venti materassi e venti grossi cuscini di piume. Solo una principessa poteva avere una pelle così sensibile!

Così il principe la prese in sposa, convinto finalmente di avere incontrato una vera principessa, e il pisello andò a finire in un museo, dove, se nessuno è venuto a rubarlo, lo si può vedere ancora.

E questa è una storia vera, sapete?


FINE

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Ultima modifica di Marisa il Dom Feb 19, 20:54:36, modificato 1 volta in totale
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MessaggioInviato: Dom Feb 19, 20:53:39    Oggetto:  
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fiaba del pescatore e la ragazza che divenne sirena,


La fiaba del pescatore la ragazza che divenne sirena
Sulla costa della nostra penisola vivevano una coppia di giovani amanti: Rosa e Giuseppe. Giuseppe un giorno non ritornò da pesca e perciò Rosa era molto preoccupata, dunque uscì a cercarlo ma scivolò e cadde in mare. Ad un tratto sentì delle voci strane, delle sirene nuotarono verso di lei e la tramutarono in sirena, fecero così per gelosia, infatti si erano invaghite del pescatore il quale pur essendo naturalmente molto incuriosito dal loro aspetto ed anche affascinato dal loro canto e dalle storie meravigliose che gli raccontavano non poteva certo amarle, poiché ai suoi occhi nessuna né umana né sirena era meravigliosa come Rosa. La sua amata Rosa così trasformata in sirena si sentiva triste e infelice, sentiva tanto la mancanza di Giuseppe, inoltre il suo nuovo corpo non le piaceva affatto e se ne vergognava molto, essere diventata per metà animale non le piaceva proprio anche perchè dentro di sé si sentiva sempre umana; per questo le altre sirene non smettevano mai di prenderla in giro facendola vergognare ancora di più. L'unica cosa che apprezzava del suo stato era la sua nuova voce, persino più incantevole di quella delle altre sirene per la sua delicata dolcezza; proprio a causa della sua bellissima voce le sirene presero però anche a invidiarla e un giorno che Rosa cantò la sua più bella canzone loro le fecero un'altra magia: ogni volta che avesse ancora cantato sarebbe diventata un pò più animale e un pò meno umana e se avesse continuato a cantare abbastanza a lungo alla fine avrebbe finito per trasformarsi in un grande pesce verde. Rosa però non riusciva a rinunciare a quella che era ormai la sua unica consolazione; quando sarò diventata un pesce non potrò più pensare, si diceva, così non mi sentirò più infelice. Dunque continuò a cantare e ogni volta che lo faceva la trasformazione del suo corpo in quello di un pesce procedeva un pochino. Un giorno mentre cantava, ormai più pesce che umana ma ancora dotata di ragione perchè la trasformazione non le aveva ancora toccato la testa, Rosa vide Giuseppe in barca carico di gioielli, un tesoro che aveva trovato in un isola deserta e che stava per regalare ad una nave mercantile poichè avendo perso la sua Rosa nulla più lo interessava. Allora lei si avvicinò e gli disse : "amore, se darai quei gioielli alle sirene, mi lasceranno venire con te!!" Giuseppe diede i gioielli alle sirene che in cambio gli restituirono Rosa facendola ritornare la bella ragazza di prima.


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